La recente vicenda legata all’exchange centralizzato FTX ha creato un clima di paura generale alimentato da una dilagante ignoranza del settore. Cerchiamo con questo articolo di fare luce su alcune delle principali differenze che vanno assolutamente comprese prima di affacciarsi a questo campo di investimento.
Bitcoin e Crypto, due realtà facenti parte della stessa sfera; due termini troppo spesso citati analogamente, commettendo un errore di fondo enorme. Andiamo a vederne assieme le principali differenze.
Nota introduttiva
Questo articolo, rivolto prevalentemente ai “newbie” del settore. Il testo in questione si rivolge a chi ha maggiormente bisogno di comprendere queste differenze, pena il restare vittima della disinformazione main stream, che fa di tutta l’erba un fascio, insegnando poco e allontanando invece i potenziali interessati.
Andiamo quindi rapidamente a vedere perché Bitcoin è diverso dal mondo crypto.
Bitcoin e crittografia
Nell’utilizzo di Bitcoin si fa forte uso di tecniche crittografiche per propagare transazioni attraverso la sua rete.
Essendo stato Bitcoin associato sin da subito ad una possibile forma di pagamento, sono ben presto venute a convergere le parole “valuta” e “crittografia” creando il termini “criptovaluta o criptomoneta”.
Il fatto che il protocollo Bitcoin e la sua valuta di riferimento, il bitcoin (BTC), siano annoverabili più a moneta piuttosto che ad una “commodity digitale”, sarà in gran parte il mercato e le tipologie dei suoi usufrutori a deciderlo.
Bitcoin nasce e si sviluppa attraverso una sinergia di incentivi che lo demarcherà come sempre più distante dalla moltitudine di altri progetti venuti dopo di lui, creati sulla scia di proporre qualcosa di “alternativo” a Bitcoin, ma troppo spesso (per non dire quasi sempre) mossi da ben altro tipo di incentivi, tra cui sovente la speranza di arricchirsi in fretta dei creatori.
Altcoin e protocollo Ethereum – una breve introduzione
ALTCOIN
I primi progetti presero direttamente il codice sorgente del protocollo Bitcoin andandone a modificare parametri che lo rendessero, ai meno avvezzi a comprenderlo, più “accattivante”. Questo subdolo incentivo non faceva leva su una reale ricerca tecnologica, ma prevalentemente sul cercare di ricreare quella condizione di iniziale sottovalutazione del coin capace di permettere ai primi posizionati di trarre grandi benefici con sprazzi di rialzo del prezzo e aumento di capitalizzazione.
Senza addentrarci oltre nelle strategie dei team di sviluppo (tendenzialmente centralizzati tra l’altro), possiamo definire il 90% di questi progetti “l’alba delle shitcoin”, ossia realtà nate per speculare sull’adozione sfrenata di utenti capace di portare un forte rialzo per i loro creatori e i primi “adopters”, spesso con dinamiche ai limiti di uno schema Ponzi.
ETHEREUM
Uno di questi progetti porta alla nascita di qualcosa di diverso, ossia di una piattaforma relativamente decentralizzata (rispetto a Bitcoin che invece lo è interamente) capace di fornire un campo di sviluppo computazionale “Turing Complete”, ossia una macchina virtuale di programmazione per qualsiasi altro genere di applicazione.
Il tutto alimentando le transazioni computazionali in “ether” (ETH) ossia la valuta di riferimento di questo ecosistema.
Sarà proprio questa piattaforma a dare i natali alle innumerevoli altcoin che deriveranno dalla facilità di creazione di token di un progetto, ben diversi dalle coin proprietarie di una catena (o blockchain).
Coin e Token – principali differenze
Ad oggi la stragrande maggioranza di altcoin sono in realtà dei “token” di progetto, ossia dei “gettoni” di funzionamento per un programma costruito su una blockchain capace di consentirne la creazione (Ethereum ad esempio, o anche la ancor meno decentralizzata Binance Smart Chain BSC), definito “smart contract”, pagando la creazione di questo in ehter (o BNB nel caso della BSC citata), ossia la coin di riferimento della sua blockchain e facendolo funzionare mediante il pagamento dei token ad esso correlati.
Quindi riassumendo, una “coin” è una grandezza digitale (finita o infinita, dipende dal protocollo e con specifiche regole di emissione) alimentante il funzionamento di una blockchain proprietaria che ne computa anche la stessa produzione.
Un token è invece una analoga grandezza digitale operante però all’interno di uno smart contract, ossia un’applicativo, creato su di una blockchain che ne ospita lo sviluppo.
Sintetizzando con un esempio un pò retrò: un tempo c’erano le “Lire italiane” con cui si potevano acquistare “gettoni telefonici” da utilizzare all’interno delle cabine per effettuare chiamate.
Per analogia in questo esempio, la Banca d’Italia emittente della Lira era la blockchain nativa della coin (moneta) “Lira”.
All’interno di questa economia, finanziando in coin Lira, si è investito nel creare lo smart contract “cabina telefonica” il cui utilizzo andava alimentato a gettoni (token) acquistabili in Lire.
Investimento in token e ICO, una rapida review
Seguendo l’esempio appena fatto, era logico supporre che il prezzo dei gettoni telefonici subisse il rialzo del prezzo dato dalla perdita di valore progressiva causata dall’inflazione della Lira; non lo era invece sperare che il valore dei gettoni aumentasse relazionato all’andamento del loro utilizzo… giusto?
Ecco che invece alcuni hanno ben pensato di mischiare il valore delle shares delle loro iniziativa aziendale con il valore del token che serviva per utilizzare il progetto, così da poter aggirare i regolamentatori sull’emissione di security aziendali (la Security Exchange Commission o SEC), finanziarsi un progetto e il più delle volte non realizzarlo nemmeno ma tenersi le “donazioni” ricevute. Ed ecco a voi il fenomeno delle Initial Coin Offering o ICO fortemente avvenuto durante il 2017, il quale ha poi preso una piega leggermente differente sfociando in IEO (ossia Initial Exchange Offering, ossia lo stesso sistema ma filtrato da un Exchange centralizzato tipo Binance) senza però distanziarsi troppo dalla logica spiegata, per poi arrivare ad ulteriori modalità come STO e altre che ora non approfondiremo.
L’esempio dei gettoni telefoni della Sip
Sarebbe stato come se la vecchia SIP (Società Italiana Per le telecomunicazioni) avesse lanciato un “white paper” (termine di settore che indica il manifesto di presentazione) con cui presentava il progetto di creazione di una rete di “cabine telefoniche alimentate a gettoni”, e che avesse cercato di finanziarsi pre stampando dei gettoni, vendendo questi ai potenziali interessati attratti dall’idea che, una volta realizzato il progetto, questi avessero potuto/dovuto apprezzarsi di conseguenza.
Se pensiamo a questa dinamica, sappiamo che l’andamento finanziario della società in questione si rifletterà sulle sue “azioni”, il cui acquisto sì garantirebbe un potenziale ritorno dato da un loro positivo andamento di quotazione e addirittura un ritorno di dividendi ai loro investitori, ma che tale rendita non intaccherebbe minimamente il prezzo dei gettoni che servono ad alimentare le cabine.
Questi infatti avrebbero un prezzo fisso o leggermente variabile stabilito dalla compagnia e da dinamiche di mercato, anche perché un loro crescente apprezzamento mal si rifletterebbe sul loro utilizzo, poiché sarebbero migliori come strumento di investimento che non come “utility token” da spendere per farlo funzionare, alimentarne la diffusione e permettere un’apprezzamento del valore della compagnia.
Chiunque può lanciare un token
Purtroppo in quello che oggi viene definito “mondo o ambiente crypto” o “crypto sfera” questo accade praticamente sempre, in ogni progetto che veda l’impiego di un capitale minimo per poterlo creare su una blockchain proprietaria.
Per fare un esempio, su siti come questo possiamo creare quasi ogni tipo di token ci venga in mente su diverse “chain” di riferimento, sulle quali pagheremo fee di sviluppo per deciderne quantità, modalità di emissione, ritmo inflattivo e ogni altro parametro utile alla sua creazione. Basterà poi associarlo ad una accattivante presentazione che illustri “paradigmatiche” funzioni di innovazione tecnologica, condire il tutto con una bella community di influencers da quattro soldi e lanciarne la pre-sale e la successiva commercializzazione su una piattaforma di cambio che decida di ospitarne la compravendita.
Alcuni exchange pongono forti limitazioni al listamento di token sospetti, ossia privi di reale fondamento e facilmente creati per poi eseguire dinamiche di “rug-pull” o “pump&dump” (ricordo il famoso Squid Game Token per citarne uno a caso). Altri, un pò più truffaldini o elastici dir si voglia, non si pongono minimamente il problema.
Altri ancora potranno addirittura incentivarne l’acquisto o il “farming” stesso (dinamica di sostegno alla sua produzione mediante incentivi di ritorno che ora non approfondiremo).
La cosa non è importante. La cosa davvero importante invece è comprendere le differenze delle dinamiche sopra citate dall’esistenza, creazione, funzionamento ed utilizzo di Bitcoin, che si distanzia enormemente da tutto ciò abbia tentato di emularne il successo e che andrò rapidamente ad illustrare in conclusione di questo articolo.
Perché Bitcoin è diverso dalle cripto
Bitcoin (con la “B” maiuscola) è un protocollo informatico open source che nasce per inventare un sistema di riferimento transazionale privo di un’entità di controllo centrale, volto a lasciare la sua direzionalità nelle mani della maggior parte dei partecipanti al suo utilizzo.
Si avvale per incentivarne l’adozione e il successivo funzionamento della creazione di una forma monetaria fungibile nativa, ossia il bitcoin (con la “b” minuscola), la quale non viene pre-creata e successivamente distribuita o venduta ma bensì erogata dal protocollo stesso a quelle figure che investono risorse per assicurare il corretto funzionamento dello stesso (i miners o “nodi minatori”).
Lo stato di funzionamento del protocollo è verificabile istantaneamente dai partecipanti al protocollo (full nodes) come anche la capacità di voto per l’abrogazione o meno di modifiche ad esso. Una sinfonia di incentivi che ne assicura funzionamento e stabilità.
Quello che innova è la capacità di permettere a chiunque di scambiarsi valore senza confini o limitazioni di qualsiasi genere, attraverso una rete trasparente così da fugarne dubbi su utilizzi illeciti su larga scala, senza doversi fidare o chiedere il permesso a un garante/censore centrale. Inoltre la sua coin di riferimento ha una supply limitata a circa 21 milioni di unità frazionabili al cento milionesimo, il cui possesso al portatore è garantito dal protocollo mediante la distribuzione e il continuo aggiornamento di un “ledger” (o libro mastro contabile) distribuito.
Conclusioni
Senza approfondire ulteriori incentivi al suo utilizzo (tra cui l’incentivo ad una green economy) credo sia da subito chiaro, anche ad una rapida ed imperfetta presentazione come quella appena fatta, l’enorme differenza tra Bitcoin e qualsiasi altra cosa venuta dopo.
Bitcoin non nasce per permettere ai cuoi creatori (tra l’altro ignoti) di arricchirsi sulle spalle di quelli venuti dopo.
E’ chiaro che un “early adopter” si ritroverà con un maggior quantitativo di coin rispetto ad un successivo, avendo preso prima di esso parte al protocollo, e questi si ritrovi con un maggior controvalore in moneta FIAT sul libero mercato.
Ma deve essere chiaro che non vi è una condizione di vantaggio tecnologico dato ai creatori del protocollo o ai suoi addetti ai lavori rispetto fornita “by design” dal progetto.
Bitcoin inventa qualcosa di realmente utile e mai visto prima d’ora, con modalità mai rese possibili prima se non dalla sinergia di invenzioni precedenti che egli coniuga per offrire ai suoi partecipanti libertà finanziaria, transazionale e di possesso. Questo non si può dire purtroppo per il 99% degli utility token in circolazione e nemmeno di molte altre Coin su rispettive blockchain.
Bitcoin non segue modalità di promozione e vendita supportate da comunità incentivate a farlo da subdole premiazioni a sfavore di utenti ignari. Premia invece chi partecipa al corretto sviluppo e mantenimento di esso e lo fa secondo rigide regole matematiche che impongono di dimostrare cosa si è fatto per sostenerlo.
Lascio a voi e a successivi interventi in materia il compito di trovare altre mille motivazioni per differenziare questo ardito esperimento tecnologico dalla moltitudine di scimmiottamenti di una vecchia finanza travestita da innovazione, chiamata “mondo crypto”.
Nota conclusiva personale
L’articolo in questione pone le basi di comprensione e differenziazione di Bitcoin dalla moltitudine di Altcoin e Utility Token sul libero mercato. Io in primis ho una forte “vena massimalista” in materia Bitcoin ma ricerco e osservo con reale interesse e sostegno ogni qualsiasi altro progetto innovi qualcosa di realmente utile e con dinamiche sostenibili e prive di incentivi truffaldini. In questo “far west” purtroppo ci sono ancora più fenomeni da baraccone che reali esperimenti innovativi. Questo non è però un problema del settore in sé ma bensì di chi cerca di cavalcarlo senza voler realmente uscire dai limiti che esso si propone di superare.
Esistono già oggi svariati progetti interessanti e ben motivati. Ne vedremo la reale utilità e sostenibilità nel tempo. La comprensione di Bitcoin ci permetterà però sempre di saper leggere tra le righe di una bella presentazione e scovare se oltre la nube di fumo ci sia anche un bell’arrosto!