Un exchange clandestino di criptovalute tra i vicoli di rione Sanità a Napoli e un intero nucleo familiare finito sotto indagine con l’accusa di essere in grado di convertire soldi veri frutto di attività illecite (truffa ed evasione fiscale) in Bitcoin.
I fatti
Una sorta di banca d’affari a Napoli, finita al centro delle verifiche dei carabinieri, sotto il coordinamento di un pool di inquirenti specializzato in reati telematici. Al lavoro il pm Claudio Onorati, sotto la guida del procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli (in un pool composta da Capasso e Cozza), che hanno messo a segno dei sequestri di cellulari e computer a carico di alcuni indagati. In particolare Giuseppe De Rosa (classe 1989) e il padre Antonio (classe 1964) e altri componenti della stessa famiglia in veste di prestanome e persone estranee insospettabili, che avrebbero portato il denaro contante e i loro risparmi in un’abitazione della Sanità. Secondo la ricostruzione della Procura, il gruppo avrebbe dato vita a una serie di portafoglio elettronici (wallet), con tanto di codici, credenziali ad appannaggio esclusivo dei clienti. In questo modo sono riusciti a nascondere il frutto di attività illecite, in particolare truffe, frodi bancarie, anche se non si escludono altri canali illegali su cui sono ovviamente in corso indagini.
Le indagini
Le indagini dei carabinieri di Napoli si sono protratte per mesi, durante i quali sono stati monitorati i movimenti dei De Rosa: gli incontri con i potenziali clienti, che avvenivano nei pressi delle loro abitazioni, i possibili depositi di denaro. Inoltre le forze dell’ordine hanno intercettato le utenze degli indagati e hanno scoperto che alcune utenze hanno ricevuto una consistente attività di messagistica compatibile con un invio di Otp (on time password) e codici di dispositivi anche da banche estere”. In altre parole molte banche internazionali hanno spedito token e sequenze numeriche per consentire di prelevare o gestire i conti correnti. Gli inquirenti hanno affermato anche che Giuseppe De Rosa ha intrattenuto diversi rapporti con numerosi “clienti” che consegnavano allo stesso, o al padre Antonio denaro contante per ricaricare i wallet di criptovalute, utilizzando come modalità preferenziali le consegne dirette in strada o ulteriori modalità che garantissero l’anonimato e non tracciabilità dell’operazione. Infine, i carabinieri hanno accertato che Giuseppe d Rosa disporrebbe di beni e liquidità non compatibili con i redditi dichiarati e con i movimenti in chiaro. Ed è ancora Giuseppe De Rosa ad avere a disposizione auto a noleggio, con le quali si recava a Torre del Greco e in altro comuni dell’area vesuviana su cui sono ovviamente in corso le indagini.
La difesa
Il difensore di Giuseppe De Rosa, l’avvocato Luigi Pezzullo, ha chiesto un incidente probatorio (un atto irripetibile) finalizzato a cristallizzare il contenuto dei cellulari e computer finiti sotto sequestro per r la correttezza di operazioni finanziarie che avvengono su scala internazionale perchè, secondo l’avvocato, il suo cliente non aveva consapevolezza della provenienza illecita del denaro utilizzato nelle sue attività.