Nella giornata di lunedì 19 giugno 2023, presso la biblioteca “Avv. Giorgio Ambrosoli” del Palazzo di Giustizia di Milano, si è tenuto il convegno organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Milano dal titolo “Profili penali delle criptoattività: riciclaggio, frode e abusi di mercato, tra mercati finanziari e Regolamento MiCA”, dedicato al tema dell’inquadramento penalistico dei crypto-assets.
Dopo l’introduzione dell’Avv. Enrico Giarda, Coordinatore della Commissione Giustizia Penale e dell’Avv. Antonio Caterino, Coordinatore della Commissione Innovazione, insieme al Direttore Giorgio Scura, ha preso la parola il Maggiore Lorenzo Savastano, Capo Sezione Operazioni del Nucleo PEF di Milano, Christian Miccoli, CEO di Conio Inc. e Michele Bencini, Avvocato penalista, coordinati da Giovanni Briola, Avvocato penalista e Tesoriere dell’Ordine degli Avvocati di Milano.
L’incontro ha seguito un tracciato ben definito e ha delineato una panoramica completa della situazione delle crypto-scam in Europa e nel mondo, offrendo, oltre al quadro giuridico del tema, il preziosissimo punto di vista di chi effettua le indagini – sia lato GdF che lato Decripto -, oltreché la prospettiva di una piattaforma di servizi crypto.

Il confronto tra i relatori è stato indubbiamente costruttivo, portando all’emersione di punti di contatto tra i vari addetti ai lavori che meritano di essere valorizzati nel futuro prossimo, soprattutto nella nuova ottica normativa alla luce dell’entrata in vigore del Regolamento MiCA (Markets in Crypto-Assets), della legge di Bilancio 2023 e dell’introduzione della c.d. Travel-Rule anche per i CASP (Crypto-Assets Service Provider).
Troppo spesso, infatti, gli scandali che colpiscono le piattaforme finiscono per riversarsi sul mondo della blockchain, demonizzando lo strumento in sé che, in quanto tale, è neutro per definizione. Anzi, la tecnologia DLT vanta potenzialità che, se espresse, sono in grado di rivoluzionare molteplici settori dell’economia moderna.
Si prenda come esempio il caso FTX. Litri di inchiostro versati da detrattori del mondo crypto pur a fronte di un dato significativo che – a parere di chi scrive – non è stato debitamente valorizzato: le autorizzazioni MiFID di cui godeva la piattaforma. In altri termini, FTX ha acquisito la licenza per operare in Europa tramite le Autorità cipriote (attraverso l’incorporazione di un’azienda, ovvero la K-Dna Financial Services, autorizzata dal 2015), del pari degli intermediari finanziari registrati presso le Autorità di vigilanza nazionali.
Dunque, emerge in tutta evidenza che il baricentro della questione si sposti dalla disamina dello strumento crypto al sistema di vigilanza in sé.
Proprio in tal senso, l’Unione Europea si è mossa in anticipo rispetto al contesto mondiale dotandosi di una regolamentazione ad hoc per le cripto-attività, attenzionando sì la tutela degli investitori ma senza intralciare o sfavorire lo sviluppo della tecnologia stessa. Trattasi di una scelta sicuramente non priva di ricadute geopolitiche (lo si è già visto nei rapporti EU – USA dopo l’adozione del GDPR) e, soprattutto, in grado di prospettare un vantaggio competitivo rispetto alle aziende oltreoceano, proponendosi come un territorio maggiormente appetibile.
Tuttavia, è bene tenere in considerazione degli aspetti tutt’altro che marginali. Infatti, la potenziale attrattiva ingenerata dal regolamento MiCA rischia di venire meno se gli adempimenti imposti alle piattaforme crypto risultano talmente gravosi da far risultare non più conveniente l’investimento.
L’Italia sembra porsi proprio su questa falsariga: la normativa antiriciclaggio e la normativa fiscale impongono oneri che, allo stato, rischiano di ingessare la stragrande maggioranza dei prestatori di servizi crypto nel nostro paese.
Nello specifico, la normativa AML ha esteso a tutti i VASP (Virtual-Asset Service Provider) l’obbligo di iscrizione ad una sezione speciale del registro OAM istituita dal Decreto MEF in data 13 gennaio 2022 e, con esso, ha imposto altresì la trasmissione all’OAM su base trimestrale del numero di operazioni di conversione tra valute virtuali.
Al contempo, sul fronte fiscale, la legge di bilancio 2023 ha mutuato la rivoluzione attuata negli anni ’90 nel settore bancario e finanziario, introducendo il regime di risparmio gestito o amministrato anche per le cripto-attività. Con ciò s’intende che il cliente dovrà essere messo nelle condizioni di poter optare per il regime fiscale del risparmio gestito o amministrato e, così, trasformare il CASP in un sostituto d’imposta. Sempre nel panorama fiscale, in ambito europeo, la DAC 8, ovvero l’ottavo emendamento alla Direttiva UE n. 2011/16 sulla cooperazione amministrativa ai fini fiscali, recependo i protocolli CARF (Crypto-Asset Reporting Framework) dell’OCSE ha imposto l’obbligo per gli exchange di comunicare annualmente all’Autorità fiscale nazionale una serie di dati dettagliati (tra cui il numero di transazioni rilevanti e il valore di mercato aggregato relativo agli acquisti e alle cessioni eseguite) al fine di arginare l’evasione fiscale connessa agli scambi di crypto-assets.
Al di là della difficoltà di identificare la specifica normativa di riferimento per la singola piattaforma, stante la differente definizione di “valuta virtuale” posta alla base dei predetti obblighi normativi e la diversità dei prestatori di servizi coinvolti, si pone anche un tema di efficacia reale di tali misure. In particolare, con riferimento al registro OAM, dai primi casi applicativi risulta non avere alcuna efficacia in termini di garanzia di trasparenza delle piattaforme iscritte ma, al contrario, talvolta si trasforma in un ostacolo per le indagini su operazioni quantomeno sospette, svilendo così la tecnica – fondamentale nella tecnologia blockchain – del follow the money.
Appare evidente che la costruzione di una simile architettura, comprendente tre differenti piani informativi, imponga ai prestatori di servizi crypto adempimenti non trascurabili, in quanto, peraltro, presuppongono una struttura gestoria interna e un sistema di compliance particolarmente articolato e senza dubbio fuori dalla portata economica di gran parte delle imprese che ad oggi popolano il panorama delle cripto-attività.
Ne deriva che tale impianto normativo rischia concretamente di precludere l’accesso al mercato a realtà aziendali di piccole-medie dimensioni. Si finirebbe per strozzare un settore che diventerebbe appannaggio dei soliti grandi player già imperanti nel mondo bancario/finanziario, per cui la prestazione di servizi crypto rappresenta una mera ramificazione dei molteplici servizi offerti, incidendo così sull’attrattiva del nostro paese in uno degli ambiti con più potenziale economico e, al contempo, favorendo indirettamente tutti gli altri paesi europei.