Fake it, until you make it. Nel mondo cripto, ma non solo, questa è una delle massime più in voga. Fingilo, finché non lo realizzi. Quello che sta accadendo, però, è che spesso ci si ferma al “fake it”. In questo mondo virtuale, social e web, apparire è tutto. Le foto giuste, che siano photoshoppate o meno, i filtri, gli effetti, i video emozionali, le musiche suggestive sono le cose più importanti. Un sito bello da vedere, le grafiche pulite e minimal, ecco quello che serve. Magari qualche frase ben scritta, un claim che spacca. E poco importa se sotto, di concreto, non c’è niente. Chi se ne frega di creare valore, di creare qualcosa di utile per gli altri, tanto l’obiettivo è solo far soldi, per se, e basta. Dal mondo di ladri di Antonello Venditti degli anni 80, al mondo di fake degli anni 20.
A forza di fingere, di fake, di cose che sembrano chissà cosa e poi non sono niente, stiamo disimparando a riconoscere le cose importanti. E così, mentre da una parte c’è chi si fa in quattro per sembrare quello che non è, dall’altra parte c’è chi lavora duramente, chi resta sul concreto, chi ha idee e si sforza in tutti i modi di realizzarle. Non di fingere di starle facendo. Non “vende” qualcosa che non c’è, non mente, non tradisce.
Se ci guardiamo per un momento intorno, ci rendiamo conto di essere accerchiati dai fake. Basta guardare le serie Netflix più viste, moltissime sono dedicate a falsi: Inventing Anna, Il truffatore di Tinder, The Serpent, The puppet master, Il re della truffa, solo per citare le più famose. Ma senza dimenticare Trust no one, il film dedicato alla sparizione di 160 milioni con il crack dell’exchange di criptovalute canadese Quadriga. E siamo solo all’inizio. Basta aprire un social a caso per essere inondati da “sponsorizzate” di sedicenti guru, i “fuffaguru”, pronti a vendere qualsiasi tipo di corso o segreto dalle loro supercar prese in affitto, o dentro a jet privati, parcheggiati, trasformati in set per selfie di successo.
E vorrei risparmiarvi il pippotto sulle fake news, dovuto a mezzi di comunicazione, giornali, siti, programmi tv, faziosi per motivi politici o economici, che – con rare eccezioni – si perdono in un mare di informazione, grossolana, improvvisata, abbozzata, che non ci permette più di distinguere tra ciò che è vero e ciò che è falso. La velocità non lo permette, basta che sia verosimile, vista da qui, che di andare fin lì a vedere di persona, non c’è tempo, costa troppo e poi non importa, domani ci sarà qualcos’altro.
In realtà proprio le definizioni di autentico e mendace sono da cambiare in relazione ai tempi che viviamo e vivremo. Un metaverso è vero o falso? Si può essere veri nel virtuale? O forse dovremmo scindere tra vero virtuale e vero reale? E cos’è virtuale? Le truffe e gli scam nel web sono virtuali ma molto reali, fanno danni veri, distruggono vite vere.
Dopo esserci convinti che non c’era nessuna differenza tra virtuale e reale, e che anzi la vita virtuale sarebbe stata più importante di quella reale, siamo costretti a raccogliere i cocci di una società che nel web ci si specchia e si compiace, senza rendersi conto di quanto sia grottesca. Che siamo quasi costretti a rimpiangere i sogni di diventare veline e calciatori, piuttosto della mercificazione di massa alla corte di Instagram e Onlyfans.
Bisogna sapersi vendere, certo, ma forse così è troppo. Abbiamo capito che per vendere basta fingere, oggi poi abbiamo strumenti clamorosi per creare cose che non esistono, tanto più nel virtuale. I venditori di fumo sono i nuovi re e ci siamo dimenticati delle persone di valore che magari non sapranno vendersi, ma che le cose le fanno per davvero. E c’è il rischio che alla lunga queste persone si stanchino di perseguire strade virtuose ed etiche e dicano, sai che c’è, ma perché non mi metto anche io a vendere un sogno, un’illusione, faccio un gran profitto e poi chi si è visto si è visto. Corrado Alvaro lo diceva: “La disperazione più grande di un popolo è credere che vivere onestamente sia inutile”.
Viene da pensare così per varie ragioni, soprattutto nel settore crypto, che per molte cose pare essere una cartine di tornasole molto reattiva sui tempi che stiamo vivendo. Già perché in questo mondo “criptato”, infilarsi, nascondersi, sparire senza subire conseguenze è facilissimo. In questi mesi lo abbiamo visto molto bene: da Wonderland, al caso, enorme, incredibile, di Terra Luna, e poi Genie Protocol, Celsius, Voyager, Three Arrows, per citare i più grandi e i più recenti. E poi ancora One coin della Ruja Ignatova, Mt Gox, il già citato Quadriga, l’italianissimo Bitconnect che si porto via 2 miliardi, così.
Che poi queste truffe, che quasi sempre sono schema Ponzi, si basano spesso su buone teorie, intuizioni, idee anche abbastanza condivise, e le rovinano, le sporcano. E se continuiamo così rischiamo di rovinare un’intera nuova e potentissima tecnologia in arrivo, che è la blockchain. Che non per caso si propone come “trustless”, senza fiducia, nel senso che per funzionare non serve porre fiducia in niente e nessuno. I dati sono dati, i numeri sono numeri, e gli smart contract agiscono senza emozioni, chiudendo affari e transazioni, in maniera trasparente, controllabile, immutabile, senza intermediari. Senza bisogno di fiducia appunto.
L’avidità, quella voglia malata di voler sempre di più, a qualsiasi costo, ci ha fatto rovinare Internet che ormai è diventato uno strumento quasi inutilizzabile. Da quando seguo qualche profilo di persone che si occupano di crypto, per esempio, sono tartassato da decine e decine di richieste di contatto da profili fake, praticamente indistinguibili dagli originali. Provano a truffare, certo, a venderti una bugia, a farti cadere, a rubarti qualche spiccio.
Tra le ultime truffe che abbiamo raccontato, c’è quella di Juicy Fields, un Ponzi veramente ben organizzato e studiato, con un’idea innovativa sotto, che ha fatto cadere centinaia di migliaia di persone nel mondo che hanno perso decine e decine di milioni di euro. Ora si sono organizzati in gruppi Telegram, come accade spesso, per farsi coraggio più che credendo di poter recuperare i loro soldi. Beh, in questi gruppi è pieno di altri truffatori che li contattano per farli entrare in altri schemi Ponzi. È ormai l’inception del fake e della truffa: abbiamo reso Internet un postaccio.
Il mondo crypto/nft, poi, è ancora non regolamentato e le forze dell’ordine sono drammaticamente indietro in una guerra super tecnologica dove gli inseguimenti si faranno sulle blockchain e i sequestri con un click. Non c’è praticamente pena per chi, per esempio, lancia un token che promette di rivoluzionare un determinato mercato, investe tutto in marketing, influencer e pubblicità, incassa il malloppo e poi se lo gode. Non sviluppa nulla, non dà nessun valore concreto, nessun uso, nessun contratto. Basta restare a galla giusto qualche mese, magari sfruttando i poderosi mercati rialzisti dove ogni inutile shit coin inventata in mezz’ora può arrivare alle stelle, e il gioco è fatto.
Si ma poi? Siamo nati per fregare il prossimo? Il nostro scopo è danneggiare, asportare, saccheggiare? O arricchire, abbellire e condividere? Abbiamo rovinato il Web2, ora abbiamo una grande possibilità con il Web3, sta a noi scegliere chi vogliamo essere e, se esiste ancora, qual è il nostro senso di comunità.