Un errore di battitura in una e-mail è stata la chiave per mettere a segno una rapina da 5 milioni di euro ai danni di Poste Italiane. La Procura di Roma sta applicando il metodo Falcone, “follow the money”, per cercare di capire che fine hanno fatto i pagamenti erroneamente effettuati da Poste e per prevenire altre truffe di questo tipo.
I fatti
Nel marzo 2017 Poste Italiane avevano programmato di spendere 5 milioni di euro per acquistare alcuni prodotti della multinazionale Microsoft. Qualcuno, però, ha intercettato le comunicazioni tra Poste e la multinazionale americana e ha mandato una esca, sperando che il personale che stava lavorando all’ordine abboccasse e, infatti, una impiegata delle Poste è caduta intrappola quando, nel pagare una fattura per un pacchetto software, non si è accorta del fatto che invece di @microsoft, l’e-mail riportava la dicitura contraffatta @mlcrosoft, autorizzando il pagamento a un destinatario diverso e sotto mentite spoglie. Si tratterebbe di un gruppo di hacker su cui la Procura sta indagando da tempo con il metodo “follow-the-money”. Questo è un tipico esempio di Bec, “business email compromise”, truffa che mira a compromettere le email aziendali, con danni irreparabili per l’azienda.
La procura indaga sugli hacker internazionali
Le indagini, coordinate dal magistrato Eleonora Fini, stanno rintracciando i complici del gruppo di hacker, truffatori professionisti, che avrebbero prelevato i soldi da sei diversi punti del mondo: Emirati Arabi Uniti, Spagna, Turchia, Hong Kong, Romania e Ungheria. Al momento, gli investigatori hanno identificato dodici persone, tra cui rumeni, bulgari e italiani, accusati di riciclaggio di denaro. Ad essere indagati, al momento sono solo i destinatari del denaro, complici della banda di hacker, a essere ancora indagati.
Il metodo Falcone
In queste indagini la Procura di Roma ha utilizzato il “metodo Falcone” nelle investigazioni su questa truffa, il quale nacque dalla intuizione di Giovanni Falcone su quello che più faceva paura alle Mafie: il fatto che lo Stato sequestrasse e confiscasse la sua “roba”. Questo fu il principio fondamentale, che portò alla emanazione della legge Rognoni-La Torre, varata il 13 settembre 1982, la quale introdusse il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso, il 416 bis del codice penale, e dispose importanti misure di prevenzione patrimoniali come il sequestro e la confisca dei beni. La nuova normativa permetteva di seguire le tracce lasciate dal denaro acquisito illecitamente e di mettere mano alla documentazione bancaria. Attraverso questo tipo di indagini si cerca di ricostruire dal punto di vista dinamico la storia di un patrimonio, la sua formazione ed evoluzione nel tempo. A ciò, man mano, si è affiancata un’attività inquirente che mira a conoscere il contesto socio-economico del territorio e quindi la realtà in cui operano i mafiosi.
Uno dei vantaggi principali, soprattutto pensando all’epoca pionieristica di certe inchieste, fu la possibilità di trovare connessioni fino ad allora impensabili tra le persone. Finalmente la polizia giudiziaria ebbe la delega per accedere ai conti bancari anche senza l’autorizzazione del magistrato e senza che gli istituti di credito potessero negare l’accesso. Lo sviluppo di questo tipo di investigazioni portò inoltre, come felice conseguenza, l’avvio della stretta e proficua collaborazione con la Guardia di Finanza.