E’ ormai noto come uno dei temi del momento: l’impatto energetico di funzionamento del protocollo Bitcoin. In questo articolo non ripercorreremo vecchie narrative di comparazione di consumi con il sistema bancario tradizionale o altre tecnologia la cui discutibilità è relativa al proprio punto di vista e quindi difficilmente relazionabile in un confronto oggettivo.
Quello su cui vorrei portare oggi l’attenzione è: perchè è importante che Bitcoin impieghi molta energia?
Cambiamo paradigma di osservazione
Eh sì, bisogna partire proprio dal paradigma opposto. Una tecnologia non è negativa se il suo impiego di energia risolve una necessità. Esattamente come troviamo normale e non ci scandalizziamo del fatto che condizionare l’aria degli ambienti chiusi, altresì soffocanti, impieghi circa il 20% del consumo elettrico globale.
Ci scandalizza però sentire che il protocollo Bitcoin ne impieghi ben lo 0.15% attualmente (di cui più del 50% proviene da fonti rinnovabili). Vediamo quindi di iniziare a comprendere a cosa serva tale impiego energetico.
Il consumo energetico di Bitcoin è direttamente proporzionale alla sicurezza del suo protocollo. Ergo, più energia impiega più è sconveniente attaccarlo ma invece molto più conveniente adottarlo e lasciarsi ispirare dalle sue virtuose meccaniche di funzionamento.
Sì, perchè una delle cose più deliziose di Bitcoin è che non è che sia impossibile attaccarne e violare il network; è solo tremendamente sconveniente e praticamente impossibile da perdurare.
Proof of Work VS Proof of stake
Apro infatti una piccola parentesi: nei protocolli PoS (Proof of Stake) a cui proprio recentemente è approdato Ethereum, raggiungere la capacità di “stake” di valuta proprietaria necessaria ad avere il 51% del consenso è sì molto impegnativo poichè si dovrebbe acquistare un quantitativo di coin elevato parallelamente all’aumento del prezzo crescente relazionato proprio a questa ingente operazione di acquisto ma poi, una volta raggiunto il target, il più sarebbe stato fatto e sarebbe praticamente incontrovertibile.
Nei protocolli ad algoritmo di consenso PoW (Proof of Work), molto capitalizzati e ben distribuiti come Bitcoin premetto, oltre alla difficoltà suddetta e praticamente analoga dell’ingente impiego monetario necessario a raggiungere il 51% dell’hash rate necessario a portare attacchi di tipo “double spending”, tale sforzo andrebbe perpetuato nel tempo e non una tantum, cosa che rende questo scenario praticamente impossibile o possiamo dire follemente improbabile.
Risulta molto difficile quindi immaginare una entità centrale, o più riunite, che iper inflazionino la propria valuta basata su tecnologia FIAT (anche in modalità CBDC) sino alla sua morte per cercare di atterrare un protocollo capace di rinascere dalle ceneri di una manciata di Full Nodes Minatori che riprenderebbero ben presto le redini della questione.
Per concludere
Il PoW non consuma, bensì impiega energia; e ben venga lo faccia in un modo crescente e sempre più green piuttosto.
Un PoS che non impiega energia non si differenzia troppo dalla situazione di sfrenato capitalismo in cui viviamo oggi. Bitcoin non ridistribuisce la ricchezza; quello sarà sempre in mano agli uomini come capacità, ma rimette la palla al centro e toglie possibilità manipolatorie dalle mani dei “troppo grandi”. E non lasciatevi incantare da favole del tipo che “il mining è centralizzato”; questo centra davvero ben poco poichè la sinfonia di incentivi di Bitcoin fa sì che siano proprio loro i primi a far sì che tutto si svolga perfettamente e in piena sicurezza.
Un ultima cosa: il mining essendo un processo industriale privato deve portare utili; e quale utile migliore ci può essere di trovare sempre più fonti rinnovabili per minare rispetto al comprare energia non rinnovabile? Vi lascio con questo piccolo spunto di pensiero.. e vi rimando ad un prossimo approfondimento sui criteri ESG e sulla loro non applicabilità alle commodity finanziare. E se BTC potesse essere una di queste…?! Quanto spendiamo per avere la “sicurezza” dell’oro in termini energetici?! Forse esiste una nuova, innovativa e più virtuosa strada verso standard alternativi.