Arrivano le prime condanne nell’ambito della vicenda dei cyber slaves. Tre trafficanti di esseri umani, infatti, sono stati processati e condannati in Indonesia per avere schiavizzato nove persone. Secondo l’organizzazione anti-schiavitù International Justice Mission (IJM), che ha avuto un ruolo nella liberazione dei cyber slaves indonesiani, queste condanne costituiscono un potente precedente contro un problema in crescita nella regione del Sudest Asiatico.
La vicenda
All’inizio del 2022 attirati da annunci sui social media che promettevano posti di lavoro ben pagati in Cambogia, Laos, Myammar e Filippine le vittime sono cascate nel tranello. Giunte a destinazione sono stati deportate in Cambogia e sono stati tolti loro i passaporti e sono stati costretti a creare falsi profili sui social media e a rivolgersi a persone ricche e anziane di diversi Paesi per truffarli e costringerli a investire in criptovalute. Alcuni di essi sono stati persino puniti fisicamente per non aver raggiunto i loro obiettivi. IJM Cambogia, insieme alla Polizia nazionale cambogiana, è riuscita a salvare le vittime dall’edificio in cui si trovavano dopo diversi mesi di detenzione, sulla base di una segnalazione di un familiare di una di esse. Con il sostegno dell’Ambasciata indonesiana in Cambogia, i nove cittadini indonesiani sono stati rimpatriati in Indonesia nel luglio 2022.
Le reazioni
Elizabeth Chicha, avvocato di uno studio legale locale che ha collaborato con IJM per assistere i sopravvissuti, si è detta soddisfatta della decisione del tribunale e ha spiegato che “dall’ottobre 2022, abbiamo fornito assistenza legale alle vittime, per le quali stiamo lavorando al fine di ottenere un risarcimento. Speriamo inoltre che, grazie a questo incidente, tutte le persone in Indonesia, specialmente a Batam, siano consapevoli della tratta di esseri umani e facciano attenzione quando ricevono un’offerta di lavoro all’estero”, ha dichiarato.
Moris*, uno dei sopravvissuti che ora lavora per una piccola azienda di mobili, ha dichiarato di essere soddisfatto del verdetto del tribunale, che prevede dai tre ai quattro anni di reclusione per i trafficanti e l’ordine di pagare un risarcimento a tutti i sopravvissuti ha dichiarato: “Spero che i colpevoli ricevano la punizione che meritano perché hanno commesso dei crimini contro di noi. Spero davvero in una restituzione, perché mia moglie partorirà presto e abbiamo bisogno di soldi per le spese del bambino, quindi dipendo molto da questa restituzione perché non ho ricevuto alcuno stipendio quando lavoravo in Cambogia. Infine, spero che in Indonesia non si verifichino più crimini di lavoro e di lavoro forzato come questo”.
L’organizzazione IJM ritiene che la responsabilità penale sia importante per sradicare questo crimine, quindi “elogiamo il governo indonesiano e i nostri partner per il loro impegno e i loro sforzi incessanti nella lotta contro la tratta di esseri umani nella truffa informatica”, ha affermato Andrey Sawchenko, vicepresidente del programma sulla schiavitù del lavoro forzato in Asia e Pacifico.

La testimonianza di una vittima
Prima della pandemia, Rahim lavorava come operatore di barche per il trasporto di beni di prima necessità tra le isole dell’Indonesia. Questo lavoro occasionale era sufficiente a mantenere economicamente stabili sua moglie e i suoi due figli, fino a quando le frontiere si sono chiuse, i turisti hanno fatto le valigie e il lavoro si è esaurito. Con il passare dei mesi, Rahim – che utilizza uno pseudonimo per motivi di privacy – ha cercato disperatamente un lavoro. Così, quando un conoscente sulla sua isola gli ha offerto un lavoro in Cambogia, ha accettato. Ma il lavoro non era quello che si aspettava. Si è trovato prigioniero in un call center, costretto a truffare migliaia di dollari a stranieri, compresi gli australiani.
“Mi hanno promesso 700 dollari al mese”
Quando Rahim è stato assunto, gli è stato detto che il lavoro consisteva nel commercializzare le criptovalute su piattaforme come Facebook, WhatsApp e TikTok, costruire un rapporto con gli acquirenti e incoraggiarli a comprarne il più possibile. “Ero interessato a lavorare in Cambogia perché l’impiegato mi aveva detto che avrei potuto guadagnare molti soldi lavorando per loro”, racconta Rahim a Guardian Australia attraverso un traduttore. Se commettevo un errore nel mio lavoro venivo messo in una stanza buia… Non mi è stato permesso di mangiare nulla per una settimana”. “Era un lavoro facile, dicevano. Mi avrebbero fornito un posto dove stare e tre pasti al giorno. Mi hanno promesso 700 dollari al mese se mi fossi unito a loro.”Non ho mai capito cosa fossero le criptovalute. Ho solo capito che dovevo aiutare a venderle”. Dopo essere arrivato in Cambogia all’inizio di maggio dello scorso anno, Rahim è stato portato in un complesso con circa altre 70 persone. Gli è stato confiscato il passaporto e gli è stato insegnato come truffare le vittime online, ingannando australiani, europei e cinesi per farsi consegnare i loro soldi. Il lavoro di Rahim consisteva nel conquistare la fiducia delle vittime. Fingeva di essere una donna attraente, prendendo di mira uomini che sembravano benestanti e australiani più anziani che spesso avevano soldi in banca. Parlava loro della loro vita e della grande opportunità di investire in criptovalute. Quando gli uomini con cui parlava chiedevano di videochiamarsi, una modella prendeva il posto di Rahim e chattava con loro.Quando sembravano convinte, Rahim le consegnava a un supervisore che estorceva loro del denaro.
Rahim racconta di essere stato costretto a lavorare dalle 8 alle 20 e di aver dovuto mangiare cibo che andava contro le sue abitudini di musulmano. Gli veniva detto che doveva agganciare tre persone al giorno, o 21 alla settimana. Quando non raggiungeva gli obiettivi, veniva picchiato con una cintura o con la tastiera del computer. “Se commettevo un errore nel mio lavoro venivo messo in una stanza buia”, racconta. “Non potevo uscire dalla stanza. Per una settimana non mi è stato permesso di mangiare nulla”. Rahim voleva tornare a casa, ma i suoi carcerieri gli hanno detto che doveva pagare 3.000 dollari australiani per andarsene – soldi che lui dice di non avere e di non poter guadagnare. Dopo tre mesi Rahim e un altro lavoratore si sono messi in contatto con l‘ambasciata indonesiana e con l’IJM, che ha aiutato ad evacuare loro e altri nove cittadini indonesiani.
Conclusioni
I trafficanti costringono migliaia di persone provenienti da tutta l’Asia a lavorare in centri di truffa online in diversi Paesi della regione, tra cui Cambogia, Malesia e Myanmar. Molte vittime sono tenute in vecchi casinò vuoti, circondati da guardie e gestiti da organizzazioni criminali che hanno legami con l’élite cambogiana, secondo quanto riportato da numerosi servizi locali come VOD e Al Jazeera. E la pratica è in aumento. Nell’agosto dello scorso anno gli Stati Uniti hanno pubblicato il rapporto annuale sulla tratta di esseri umani e la Cambogia è stata declassata al livello peggiore possibile. In Italia gli unici a parlare di questa vicenda siamo noi di Decripto.org e abbiamo intervistato in esclusiva la giornalista Mary Ann Jolley autrice del reportage di Al Jazeera sul tema.